I formaggi non sono tutti uguali, nemmeno quelli marchiati dai consorzi. Ecco come comprare il meglio, guardano le etichette, secondo il guru dei formaggi Renato Brancaleoni.
Se i francesi possono vantarsi di avere 365 tipi di formaggi, uno ogni giorno dell’anno, è solo perché in Italia non abbiamo ancora saputo valorizzare al meglio le centinaia di tipologie che produciamo, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Nei supermercati la scelta non è ricchissima, e limitata per la stragrande maggioranza a prodotti dell’industria, e la confusione su quello che la nostra penisola ha da offrire è ancora tanta. Da un lato siamo spaventati da allarmi mediatici come quello dei formaggi da latte in polvere, dall’altro abbiamo imparato a fidarci dei Consorzi, senza andare oltre nella conoscenza della diversità casearia. Un esempio? In pochi sanno che i formaggi hanno una stagionalità, un terroir al pari dei vini e che dietro al marchio del Grana Padano o Parmigiano Reggiano (solo per citarne uno molto noto) ci sono tanti produttori molti diversi l’uno dall’altro. Ce lo spiega in un’intervista (e in Caseus, Il grande libro dei formaggi italiani) l’esperto affinatore e docente ALMA, Renato Bracaleoni, figlio d’arte di una famiglia che da oltre 250 anni abita nella zona dove si produce formaggi di fossa a Roncofreddo (FC).
Il terroir oltre il brand
Il consumatore medio non ha grande conoscenza del mondo dei formaggi – spiega Brancaleoni – nemmeno di Parmigiano e Grana Padano, che sono i più consumati e conosciuti”. Vogliono “un” Parmigiano, forse al massimo indicano un certo numero di mesi di affinamento. Ma dietro ad un marchio ci sono 400 produttori, dal Mantovano ai confini della Garfagnana, condizioni diverse, con pascoli diversi, latti diversi, vacche diverse, tipi di allevamento e quindi formaggi diversi. È il produttore che fa la differenza, ed è indicato sulla forma di formaggio, solo con un numero però. Per ogni tipo di formaggio c’è chi lo fa bene e chi non lo fa bene… Il marchio di un Consorzio dà tutta una serie di garanzie su provenienza, metodo di produzione e standard, ma non certifica profumo o sapore. I brand identificano un disciplinare prefissato, ma l’origine della materia prima e la mano del casaro non hanno nulla a che fare con il sistema di produzione. I formaggi hanno la personalità del casaro: su ogni forma ci dovrebbe essere stampata la faccia del casaro! Fattori determinanti di biodiversità sono la zona di origine del latte, dove è collocato il caseificio, la razza di animale che produce quel latte, se il formaggio è lavorato a latte crudo o a latte pastorizzato. Il Bettelmat della Val Formazza, sopra a Crodo, è un formaggio a latte crudo con un sapore tipico dato dall’erba mottolina, che vive solo in quella zona, e che dà al formaggio un sentore unico
Perché scegliere le DOP
Il 35% del prodotto italiano è fatto con latte straniero, le DOP sono fatte solo con latte italiano. I prodotti industriali lasciano il beneficio del dubbio, i prodotti di piccoli caseifici, che i francesi chiamano fermier, ossia formaggi artigianali che sono fatti da produttori che hanno un proprio gregge e lavorano il proprio latte – quelli che appunto in Francia si trovano anche nei grandi supermercati e che da noi vanno cercati in negozi specializzati o mercati. Il mondo delle DOP è già una garanzia di un rapporto qualità prezzo vantaggioso.
Perché il latte crudo è meglio
I formaggi prodotti a latte crudo conservano le valenze aromatiche che spariscono al 90% con la pastorizzazione, L’industria che lavora 100.000 litri di latte al giorno non può permettersi, ragionevolmente, una carica batterica vagante, mentre chi lavora 100 litri ha un rischio minore e un controllo molto più stretto è può permetterselo. Per fare un esempio di prodotti di massa a latte crudo, si può comunque citare il Bitto, e il Parmigiano.
Mangeremo latte in polvere? Da noi la legge dice che il formaggio si può fare solo con latte fresco, non con latte in polvere o prodotti congelati. Tutti gli altri paesi europei, possono invece già usare anche polvere e congelato, perché hanno delle eccedenze da trasformare ed è un modo per abbattere i costi in grandi produzioni molto standardizzate. Se dovremo uniformarci e autorizzare l’uso del latte in polvere, basterebbe avere prodotti la cui origine e l’eventuale presenza di latte in polvere è descritta in etichetta. Così non è concorrenza sleale, ma libertà di scegliere.
I formaggi sono stagionali
Le bestie che vivono secondo i ritmi della natura mangiando al pascolo non producono sempre lo stesso latte. Le vacche producono latte tutto l’anno, ma i formaggi prodotti in primavera sono i più buoni, e quest’anno visto il clima i migliori saranno prodotti da marzo a maggio. Significa che dopo 30 o 60 giorni di affinamento, in estate, si compreranno le forme migliori. I formaggi di alpeggio rendono invece al massimo dal 10 luglio al 10 agosto, quindi danno ottimo formaggio pronto in autunno. Per certi formaggi Si deve guardare la data di caseificazione per acquistare bene. Esistono periodi dell’anno in cui il latte da capra e il latte di pecora scarseggiano per cui avremo carenza di caprini freschi dalla tarda estate fino a febbraio mentre avremo carenza di pecorini freschi da fine luglio a ottobre-novembre. I grandi allevatori producono latte di capra tutto l’anno (vedi la Francia) alterando il bioritmo degli animali! I prodotti dell’industria non possono permettersi una variabilità del gusto per ovvie esigenze commerciali e di mercato. Le grandi industrie devono avere un prodotto uguale ad agosto come a dicembre, tutti i giorni, sempre uguale. Devono quindi forzatamente pastorizzare e usare fermenti che contribuiscono a determinare un sapore standard.
Come fa un formaggio a costare 6€ al chilo?
“Le so dire come un formaggio può facilmente costare 26€ al chilo, ma non ho idea di come facciano a farlo e guadagnarci a 6€!”
This post is also available in: Inglese